«Il suo dialetto si misura con l’esistenza. L’idea principale della sua poetica è quella del continuo salire: fare dell’impervia salita un’edificante ascesa è il messaggio che destina ai figli e il senso profondo della sua ricerca linguistica, del suo èthos. Poesia piena di terra, fango, sangue, materia, roccia, natura, che tende sempre alla spiritualità dell’uomo, al sovrannaturale, a un’esistenza che va oltre» (Manuel Cohen)

«Voce dal talento puro, educata alla pazienza filologica e alla sonorità della lingua della Koinè. Voce tra le migliori della sua generazione per quella capacità di andare a fondo, di affrontare l’orizzontalità del quotidiano non perdendo mai di vista la verticalità della visione» (Manuel Cohen)

«Un viaggio nel paesaggio che si fa cronotopo e archetipo della ricerca dell’interiorità e della trascendenza. Un viaggio di conoscenza in cui la phonè particolare veicola istanze, inquietudini e valori universali. Siamo di fronte a un poeta tra i più consapevoli della strumentazione e del valore dei segni e del senso riposti nelle radici verbali delle parole d’uso» (Manuel Cohen)

«Ciò che colpisce di Ianzano è la sua scrittura pensosa, che mira all’essenziale, e l’uso singolare di una rarissima forma metrica, la quinta rima, peraltro autonoma rispetto alla strofa del Crescimbeni o del Regaldi. […] La poesia di Ianzano ha il saio dell’umiltà e la sapienza delle Sacre Scritture. Essa suona come un richiamo alle origini. […] C’è un aprirsi a forme decisamente nuove ed essenziali» (Francesco Granatiero)

«Una devozione nei confronti della terra, della natura, dell’ambiente, e di una religione della lingua, […] devozione molto concreta e solida, profonda e quasi disperata, così intensa e debordante che se ne rimane contagiati e affascinati. […] Insieme alla bellezza del paesaggio si celebra la bellezza della lingua» (Paolo Polvani)

«Luigi Ianzano utilizza il dialetto come lingua originale per tornare quasi nietzschianamente alle madri dell’Essere. In verità, le modulazioni e l’assetto tonale di Allu nghianà tendono – come ben evidenzia il titolo – a un’altezza spirituale dantesco-petrarchesca (si veda per il poeta aretino l’ascesa al Monte Ventoso) provocata proprio dall’aspra sonorità delle catene fonematiche dialettali: estasi e heaniana poetica della riparazione» (Alberto Fraccacreta)

«La vicenda e la riflessione artistiche di Lino Angiuli costituiscono un fondamentale elemento di ispirazione. […] Se la velatura della nave espressiva è tanto solida, lo studium di Ianzano è altrettanto accurato e foneticamente fondato sulle ricerche linguistiche di Granatiero in materia di lingue dialettali dell’area garganica» (Achille Chillà)

«L’atto poetico si configura come reimpiego di una lingua nata dalla quotidiana necessità del vivere e del sopravvivere nella direzione di una nuova funzionalità. Questa lingua viscerale è interrogata sulle profondità e sui rovelli del poeta e guidata a rivolgere il suo potenziale espressivo sulle suggestioni e le contraddizioni del presente. […] Si apre una terza via tra un universo di immagini ed esperienze sedimentato in una parlata e la letterarietà, specializzata nel sondare intimi territori dell’umano sentire. […] Il poeta si fa da una parte aedo e custode dello spessore culturale e identitario del passato che scorre sotterraneo e silenziato nel presente; contestualmente egli rende esplicita la cesura storica che ha determinato una colonizzazione e un massacro culturali. […] La consapevole discesa nella complessità del nostro inconscio del sud, nel cuore antico del futuro per dirla con Levi, assomiglia al Kintsugi giapponese: come nell’antica filosofia e pratica i frammenti di ceramica erano saldati insieme per mezzo dell’oro, così la coscienza arcaica frantumata e inconsapevole del proprio passato è ricomposta nelle sue ferite dal balsamo della parola» (Achille Chillà)

«L’ascesa di Ianzano nel Gargano segreto, quello, tra gli altri, di Pasquale Soccio e, prima di lui, di Michelangelo Manicone, autore della Fisica appula. […] Dalla messa a punto del pensiero ispirato al tempo necessario per la lievitazione e la crescita della poesia, e poi tutta la faticosa gestazione nella quale, indispensabilmente, “ce vò l’arte e ce vò lu mestere”. Poesia, questa, che meriterebbe di essere letta dai troppi poeti di getto in circolazione, convinti invece che la poesia sia ”l’arte di andare a capo / ogni tanto…” come ironizza l’amico poeta Roberto Pagan. […] Funambolica abilità nell’uso delle parole e del verso» (Vincenzo Luciani)

«Un’opera consapevole, coltissima. […] Il fare poetico di Luigi Ianzano è, prima di tutto, un fare della e con la lingua. Lo dimostrano il rigore metrico dei suoi versi, l’accurata disposizione dei vocaboli e delle rime, con la predilezione per le simmetrie strutturali e i climax di verbi in serie a variatio sinonimica. […] L’autore ottiene dal dialetto un effetto incantatorio, quasi si potesse goderne come di una lallazione, lasciandosi guidare dal puro suono. […] Ma sotto il raffinato tessuto sonoro un rigoroso nucleo di pensiero» (Sergio Pasquandrea)

«Luigi Ianzano cerca il sacro nell’ancestralità della lingua locale. […] Altalenando dentro un pianeta mentale dove albergano e agiscono richiami, andate e ritorni, passati e futuri, Ianzano disegna un itinerario euristico assai pregnante, grazie anche alle risonanze di una lingua primaria e per certi versi primordiale» (Lino Angiuli e Daniele Maria Pegorari)

«Lirismo dei testi che mirano a un’intimità profonda, che si costruisce su una continua misura di osservazione, di contemplazione. Immagini che s’intrecciano in tutta evidenza d’incisione, a volte sorprendenti, tenere e forti, molli mai» (Giovanni Tesio)

«Lo scrigno strofico si apre su uno scenario di elementi primordiali nominati in termini decisamente e significativamente arcaici. […] La profonda cultura religiosa, lungi dall’impastoiare la capacità creativa dell’autore, è come una guida che gli impedisce di perdersi, come una grazia che irrobustisce l’afflato
lirico. […] Il verso di Luigi Ianzano ha radici nel secolo breve, ma germoglia nel nuovo millennio» (Francesco Granatiero)

«Struttura compatta orchestrata con grande maestria, […] che dà prova della capacità di padroneggiare la metrica nel suo dialetto e che perde la sua perfetta coerenza nella versione italiana, conservando comunque una musicalità estremamente curata» (Francesca Del Moro)

«Questa poesia in dialetto garganico non avrebbe nessun bisogno della traduzione a fronte, che pure è ben fatta e conserva l’incanto del verso. Ianzano ha una sapienza della metrica e della potenza sillabica delle parole così magistrale che il significato diventa del tutto trascurabile. C’è una forza arcaica che proviene direttamente dalla provincia meridionale ma priva di ogni forma di nostalgia conservatoristica: è la lingua com’è, per la capacità evocativa che possiede» (Diego De Silva)

«La novità e il fascino della scrittura di Ianzano risiedono nella sua capacità di superare il quotidiano e di porsi come poeta verace, ispirato da un idioma di cui sente ed esalta la sacralità, la nobilissima ancestralità, il musicalissimo e spirituale riverbero dell’animo affannato o rasserenato nel magma dell’esistenza, o ripiegato su se stesso nella ricerca del significato dell’esistenza stessa, o annegato nella ricerca dell’infinito, forse proprio quello oltre la siepe, guardando oltre l’ultimo orizzonte. […] E proprio leopardianamente, ma con l’anelito cristologico e mariano del francescano secolare, il nostro autore tratta tutte le tematiche che lo interessano in una lingua antica e nuova al tempo stesso, intrisa dello stupore dell’uomo di fede che vede il creato come opera di Dio, che è in noi ed è fuori di noi, e in questo avvicendarsi di immanenza e di trascendenza la lingua si fa nobile e grande come quella del Cantico delle
Creature, come quella dei Salmi dell’Antico Testamento, e rimanda a percorsi che superano la fisicità del dolore solo nella sofferenza del sacrificio e nella Speranza della Fede. E così spiritualità e preghiera si mescolano con l’incanto delle minime cose del quotidiano. […] Una voce dalla natura arcaica che parla senza i rumori del nostro tempo» (Marta Lentini)

«Puntiglioso nella sua ricerca dei vocaboli più puri e inusitati che formano il sottostrato dei nostri dialetti garganici, così fortunato e ispirato da poterli usare come preziosissime perle brillanti. […] Il lettore immediatamente avverte di ascoltare il dialetto sammarchese più fresco, più puro, più genuino, più autoctono che si possa mai sentire. Autoctono credo sia l’aggettivo che meglio descrive la singolarità di questi versi. Ci fa pensare a radici remote per la prima volta liberate dal terriccio natio e di esso ancora
odorose. […] Luigi Ianzano aggiunge al suo dialetto una vena di lirismo che sorprende e incanta. Oltre ad essere il più grande scopritore d’ogni risorsa letteraria insita nel nostro parlare atavico, egli è, e rimarrà, appunto noto per l’eccezionale ricchezza del suo vocabolario» (Joseph Tusiani)

«L’esercizio poetico di Ianzano assurge alla maestà del canto liturgico, alla salmodia essenzialmente corale e monocorde del gregoriano. Poesia e preghiera sono felicemente sposate, e l’una e l’altra s’inabitano e si arricchiscono di quell’animus che è anima e sentimento, lieve sussurro, timida luce sul candelabro del cuore, spirituale incendio» (Donato Coco)

«Luigi Ianzano, con un impegno davvero notevole, piega il suo idioma a espressione di un tema eminentemente religioso che gli canta dentro impetuoso, trasferendo questo fervore in un linguaggio sempre aderente e spesso fortemente espressionistico. […] Si destreggia nella verseggiatura con abile padronanza e cordiale adesione ai contenuti della sua ispirazione» (Michele Coco)

Antonio Resta, Poesia dialettale oggi. Dieci Voci di Puglia a cura di F. Granatiero, «l’immaginazione», San Cesario di Lecce, n. 344, 2024

Pina Di Nardo, Cundrada re le ciéuze, versione in molisano-campobassano di Contrada dei gelsi, 2001